Lavoratori Fragili – Disposizioni e dubbi derivanti dalla Legislazione Anti covid 19 emanata

Tratto da Puntosicuro.it

La nuova – e inedita – definizione di “lavoratore fragile” discende da quanto indicato nel protocollo condiviso tra le parti sociali, aggiornato il 24 aprile scorso e inserito nel DPCM del successivo 26 aprile e si ricollega al disposto del precedente DPCM dell’8/03/2020, che raccomandava “a tutte le persone anziane o affette da patologie croniche o con multimorbilità ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita, di evitare di uscire dalla propria abitazione o dimora fuori dai casi di stretta necessità e di evitare comunque luoghi affollati nei quali non sia possibile mantenere la distanza di sicurezza interpersonale” (art. 3 co 1 lett. b).

In questi casi, allora, cosa può fare il medico competente?

Non è scontato affermare che questa valutazione, che riguarda il medico competente, deve essere condotta caso per caso esaminando le patologie attuali o pregresse in relazione a quanto disposto dalla normativa ed evidenziato dalle più recenti acquisizioni della letteratura scientifica, purtroppo non sempre tra loro in sintonia.

Difatti, tanto per fare un banale esempio, alcuni articoli pubblicati su autorevoli riviste internazionali hanno messo in evidenza che non sembra confermato un maggior rischio di contrarre forme severe di Covid-19 in pazienti che assumono farmaci immunosoppressori, smentendo così uno dei parametri contemplati nei decreti più volte citati.

Si impone perciò di verificare con attenzione la documentazione sanitaria a corredo delle segnalazioni provenienti dai lavoratori, escludendo quelle non pertinenti (o palesemente pretestuose); risulta infatti poco accettabile ipotizzare di annoverare nel contesto di tale supposta “fragilità”, ad esempio, lavoratori di età superiore a 55 anni in assenza di patologie acclarate o dipendenti portatori di infermità di lieve grado ben controllate (ad esempio soggetti cardiopatici/ipertesi o diabetici in buon compenso, rispettivamente, circolatorio e metabolico) o, ancora, lavoratori già affetti da malattie neoplastiche sistemiche o loco-regionali ormai superate e in assenza di segni clinico-strumentali di ripresa.

Il medico competente dovrà concentrarsi e applicare invece una appropriata diligenza per dedicarsi alle situazioni meritevoli di approfondimento, quali ad esempio: patologie gravi e non compensate dalla terapia seguita, comorbilità per malattie croniche importanti, neoplasie in trattamento chemioterapico etc. Per l’esame di questi “attendibili” casi, la circolare del Ministero della Salute del 29 aprile 2020, già citata prima, precisa quanto segue:

“… i lavoratori vanno comunque – attraverso adeguata informativa – sensibilizzati a rappresentare al medico competente l’eventuale sussistenza di patologie (a solo titolo esemplificativo, malattie cardiovascolari, respiratorie, metaboliche), attraverso la richiesta di visita medica di cui all’art. 41 c. 1 lett. c. (c.d. visita a richiesta del lavoratore), corredata da documentazione medica relativa alla patologia diagnosticata …”. Si può ritenere che tale disposizione, l’effettuazione cioè di una “visita su richiesta”

Nei casi più complessi di cui si è detto, rappresenti una ragionevole e condivisibile prassi per giungere a una corretta definizione delle evenienze in esame, sebbene ponga al tempo stesso altri interrogativi, in particolare sulle conclusioni da poter assegnare alla fine di un siffatto controllo sanitario.

A tale proposito, infatti, è da rammentare che a compimento della visita menzionata il medico competente è tenuto a esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica che, a rigore, non contempla anche il rischio da contagio da SARS-CoV-2, a meno che non si tratti di operatori di ambienti sanitari. Per tale motivo, in assenza di (auspicabili) indicazioni normative, i medici competenti hanno escogitato le soluzioni più fantasiose per sopperire aggiungendo “pareri”, “raccomandazioni”, “postille” e quant’altro al giudizio di idoneità.

Probabilmente, piuttosto, la cosa più sensata appare quella di contemplare eventuali considerazioni attinenti quanto detto come “prescrizioni” atte alla definizione di questa singolare tipologia di “idoneità parziale dovuta all’epidemia Covid-19”, intese a scongiurare il rischio di contagio per questi soggetti ipersuscettibili e da mettere in atto da parte dell’azienda o Ente nei confronti del lavoratore [quali, a titolo meramente esemplificativo: “assicurare regime di lavoro agile”; “utilizzo obbligatorio di mascherina tipo FFP2”; “programmare sessioni di lavoro in solitario” etc. ]

In altri termini, in prima istanza la soluzione va sempre ricercata sul luogo di lavoro. Questi dipendenti non possono essere immediatamente inviati al curante, che non sempre è a conoscenza della mansione specifica effettivamente svolta dal suo assistito né delle condizioni dell’ambiente in cui viene espletata, cognizioni di pertinenza esclusiva del medico competente.

Tale opzione deve essere considerata solo quale ultima ratio dopo aver esperito ogni altra possibile alternativa interna all’azienda e in pieno accordo tra le due figure professionali sanitarie (MC e MMG), nella consapevolezza che prolungati periodi di assenza per malattia possono influire negativamente sul rapporto di lavoro. In ogni caso, anche qualora sia accertata la “inidoneità” alla mansione da svolgere per quanto riguarda la fattispecie della maggiore rischiosità per il contagio da SARS-CoV-2, è stata espressamente disposta l’impossibilità di procedere al licenziamento, norma di garanzia per il lavoratore fragile ma che – è facile immaginare – potrà essere fonte di non poche difficoltà e contenziosi, soprattutto nelle PMI.

Infine, occorre puntualizzare che il medico competente può solo “segnalare” e raccomandare” che la decisione finale sulle misure di tutela per i singoli lavoratori fragili rimane pur sempre in capo al datore di lavoro, unico soggetto in grado di prendere decisioni riguardanti la sua impresa e l’impiego dei propri dipendenti, anche – e soprattutto – nell’attuale fase di emergenza sanitaria, che certo a oggi non può dirsi ancora conclusa.